Chery pronta ad acquisizioni in Europa e nel mirino c’è ancora Maserati

Chary Zhang, numero uno per le operazioni internazionali di del colosso dell’auto cinese Chery, spiega la trategia di crescia con parnership e alleanze (con JLr in prima fila). Al via il lanio di un inedito brand ideato per sfidare Jeep. Ness

«Siamo pronti a cogliere ogni opportunità per acquisire marchi. È un nostro interesse strategico insieme all’espansione con fabbriche fuori dalla Cina». Charlie Zhang, executive vice presidente di Chery Auto, massimo responsabile per le operazioni del colosso statale di Wuhu, non ha dubbi su come potenziare la crescita globale: non solo marchi cinesi creati dal nulla ma anche brand con heritage. Del resto la lezione di Saic con MG è un caso di scuola. Il riferimento è a Maserati ed è stato espresso in una round table con selezionati media Automotive tra cui Il Sole 24 Ore nel quartier generale della casa automobilistica. E già nei mesi scorsi c’erano state voci e indiscrezioni su un interesse in tal senso a margine di un ventilato piano per assemblare auto nel nostro paese che aveva innescato contatti a vario titolo con il governo italiano.

La fabbrica in spagna

Il progetto della fabbrica di Chery in Italia è naufragato perché i vertici del gigante cinese, che va verso i 3 milioni di vetture prodotte all’anno, hanno scelto la Spagna e il sito di Barcellona. E la spiegazione che ci ha fornito Charlie Zhang è semplice e pragmatica: «Privilegiamo i paesi che ci offrono energia a basso costo, agevolazioni fistalie con una filiera ben organizzata, personale con alto livello di skill in gran numero nonché una logistica efficiente”. E la Spagna non a caso è il secondo produttore di auto in Europa dopo la Germania (e con una forte presenza tedesca di Vag, Ndr)». E questo deve far riflettere una volta di più su quanto poco appetibile sia il sistema paese italiano.

Charlie Zhang parla un inglese perfetto ed è un particolare non da poco per un manager cinese di una azienda che sta sfidando non solo Byd, sulla quale c’è molto hype mediatico, e soprattutto i più blasonati marchi europei.
Maserati è ancora, dunque, nel mirino di Chery e il nodo non potrà che essere sul tavolo del prossimo e atteso ceo di Stellantis (che da mesi non è stato ancora designato e non si mai vista una multinazionale senza comandante). Il Tridente è un marchio ricco di storia, ma che affronta una ennesima crisi epocale con volumi omeopatici che non rendono onore a un blasone di alto livello che fa ovviamente gola a un gruppo che sta sfornando a tavolino un marchio dietro l’altro.

In Italia e in Europa spinge sul doppio brand/logo Omoda & Jaecoo. Il primo è dedicato a un pubblico giovane, con contenuti premium e ora, con Il lancio di Omoda 3, un suv di segmento B (quasi C a vederlo dal vivo, dal look ipermoderno con forti richiami al linguaggio stilistico di Lamborghini, fatte le debite proporzioni) punta a espandere la base clienti sulla fascia Gen Z. Jaecoo, invece, mira all’area suv, anche quattro ruote motrici, di intonazione che miscela eleganza e off road. Insomma, la formula di Land Rover. E qui si apre tutto il capitolo dei rapporti tra Chery e il gruppo inglese JLR in difficoltà.

Omoda 3, Photo By Mario Cianflone

Il nodo Jaguar land Rover

La casa cinese, infatti, produceva (e produce) i modelli di Jaguar e Land Rover (gruppo indiano Tata) ma qualche anno fa propose uno scandaloso clone della Evoque (pratica comune in cina anni fa visto che Byd della prima ora clonava la Bmw X5). L’incidente che aveva coinvolto i due governi, inglese e cinese, fu poi assorbito e ora i rapporti sono normalizzati. Nei giorni scorsi, tuttavia abbiamo osservato direttamente un fatto strano: in occasione di un summit Chery a Wuhu, i modelli di tutti i brand del gruppo erano schierati in un piazzale di un mega evento di reveal della nuova Omoda 3. E non c’erano solo Omoda, Jaecoo, iCar (ne parliamo fra poco) e Lapas (brand per il Sud America) ma anche una Jaguar e una Land Rover. E il dubbio sorto subito è che Chery sia pronta ad acquisire da Tata Motors il gruppo luxury inglese che magari, insieme a Maserati, potrebbe creare un polo del lusso dando anche ossigeno e sostegno alle fabbriche inglesi e italiane dei tre marchi in crisi. Non solo: a giugno 2024 Jlr e Chery hanno firmato lettera d’intenti per la concessione in licenza del marchio Freelander alla nuova joint venture (battezzata CJR) per la produzione di veicoli elettrici in Cina. In base al nuovo accordo di licenza proposto, da indiscrezioni di rapida attuazione, la joint venture si orienterà alla produzione di un portfolio avanzato di veicoli elettrici basati sull’architettura EV di Chery, esclusivamente con il marchio Freelander.

Zhang, tuttavia, a una domanda diretta del Sole 24 Ore esclude una integrazione per acquisizione, quanto ipotizza un rafforzamento delle sinergie industriali e tecnologiche in seno alla partnership tra Chery e JLR/Tata.

Verso la creazione di un consorzio cinese per l’automotive

«Io spingo sulle collaborazioni e sulla condivisione aperta, dice il top manager cinese, per creare sinergie e migliorare lo stato di salute dell’industria automotive». E questo ci pare un approccio Open source, quasi socialista e forse ideologicamente naturale per un gruppo statale cinese. E poi c’è un altro aspetto: il consolidamento in atto dell’automotive cinese. È inevitabile, come ci ha spiegato Dario Duse di AlixPartners, che sia in corso una selezione naturale dove resteranno magari solo tre mega gruppi. Ma Zhang si spinge oltre: «Credo sia necessaria una collaborazione tra tutti i gruppi cinesi per mettere risorse a fattor comune e migliorare redditività e qualità (in Chery, e lo abbiamo visto, in fabbrica sono ossessionati dalla qualità, ndr)». Insomma, quella che Chery e Zhang lanciano è una sorta di Airbus tutto cinese dell’automotive. E questa ipotesi che aumenta la già impressionante potenza di fuoco dell’auto cinese non può che destare qualche ulteriore preoccupazione nei vertici dei grandi gruppi Europei. Del resto, e lo abbiamo notato osservando da vicino i nuovi modelli al Salone di Shanghai, e facendo un test drive maratona di 1.400 km per testare i consumi di una Omoda 5 Super Hybrid, quello che sussiste tra i marchi e i gruppi cinesi è una condivisione di elementi e componenti come maniglie, elementi di arredo, minuteria, display, basi di ricarica wireless. Pezzi che, di qualità indubbiamente molto alta, sono comuni a molti modelli. Una strategia che abbatte i costi a livello di sistema industriale e genera una specializzazione dei finitori: un solo pezzo per tutti, ma solo quello che l’utente normale non nota.

Questo elemento organizzativo insieme a prodotti di alto livello, con powertrain ibridi extended range o elettrici rendono Chery e tutto il settore auto cinese una vera macchina da guerra e per arginarla i dazi servono poco, anzi creano maggiori problemi. Zhang ovviamente è fortemente critico sulle barriere tariffarie e punta a dialogare per arrivare a una rimozione anche di quelle europee per le auto elettriche. “Le guerre commerciali – dice – fanno male a tutti”.

Sembra essere invece in stand by lo sbarco negli USA e l’ipotesi di una fabbrica in America, sulla scia di quanto fatto decenni fa giapponesi, coreani ed Europei. “L’attuale situazione di incertezza sui dazi e sulla politica negli Usa ci spingono alla prudenza e mantenere una linea di attesa”. Insomma, Zhang non esclude l’ingresso nel mercato americano, ma occorre una stabilizzazione dei rapporti commerciali e politici tra i due paesi”.

iCar, Photo by Mario Cianflone

Le prossime mosse con iCar (iCaur)

Infine, le prossime mosse: Zhang conferma che il brand di piccoli fuoristrada elettrici iCar arriveranno in Italia e in Europa nel 2027. Il brand, che riprende l’ipotesi (mai concretizzata dell’auto di Apple, al contrario di quella di Xiaomi) ha già una forza intrinseca e i modelli, con uno stile retrò che cita e fonde il meglio dei fuoristrada (da Mercedes Classe G a Land Rover, Da Jeep Wrangler fino a Suzuki Jimny) hanno la potenzialità di far breccia in Italia e in Europa. Va detto, che rispetto alle vetture viste in Cina, il nome per l’Europa è stato modificato in un bizzarro “iCaur” (la pronuncia resta uguale) per non incappare in chissà quale problema di copyright. Insomma, Jeep in primis è avvisata: è nel mirino di Chery.

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